Ogni volta che si verifica un terremoto o una frana, in Italia scoppiano le polemiche. Poi, puntualmente, non se ne parla più e tutto torna come prima. Nessuno fa niente per modificare lo stato (di pericolo) in cui vivono milioni e milioni di persone.

Dissesto idrogeologicoSecondo l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr, tra il 2010 e il 2014 le vittime di questi fenomeni sono state oltre un centinaio. Ben maggiore il numero delle persone che hanno perso la la propria abitazione o sono state evacuate a causa di questi eventi: 44.528. A confermare che questo pericolo è concreto e tutt’altro che aleatorio sono i dati di un recente rapporto che ha analizzato l’attività nelle amministrazioni comunali per la ridurre il rischio idrogeologico.

La situazione generale è deludente: in Italia, un comune su tre (31%) ha quartieri interamente costruiti in zone a rischio idrogeologico. Nella stragrande maggioranza dei comuni (1.074, pari al 77%) si trovano abitazioni in aree a rischio. Sono ben sette milioni gli italiani che vivono in zone a rischio frane o alluvioni. Per non parlare del fatto che, in alcune di queste zone, sorgono anche edifici pubblici, come scuole o ospedali, o edifici come le strutture commerciali (particolarmente presenti per la folla di persone che ci si reca).

Su 1.444 comuni analizzati nel rapporto spiccano dodici città capoluogo (Roma, Ancona, Cagliari, Napoli, Aosta, Bologna, Perugia, Potenza, Palermo, Genova, Catanzaro e Trento) che presentano una situazione preoccupante più grave per i comuni di dimensioni maggiori.

A Roma e Napoli sono oltre 100mila i cittadini che vivono o lavorano in zone a rischio. Poco meno a Genova. Nella capitale, la prevenzione è quasi inesistente (ma nessuno se ne è lamentato, forse perché erano tutti troppo impegnati in beghe da cortile). Basti pensare che solo a Roma, sono ben 1.135,6 gli ettari di territorio in area R4 (a massimo rischio idrogeologico). Eppure quest’area è abitata da oltre 17mila persone.

La preoccupazione non è dovuta solo allo stato dell’arte delle infrastrutture: sembrerebbe che le amministrazioni comunali (e non solo loro) non abbiano a cuore questo problema. Solo il 4% dei comuni ha intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi nelle aree a maggiore rischio e l’1% di insediamenti industriali. Solo i due terzi dei comuni ha effettuato la manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica. Percentuali simili per ciò che riguarda la messa in sicurezza dei corsi d’acqua o il consolidamento dei versanti franosi. E se la sicurezza passiva è carente anche quella attiva non è da meno. Molti comuni (l’84%) dispongono di piani di emergenza che tengono conto del rischio idrogeologico. Meno della metà, però, lo ha aggiornato e meno di un terzo (30%) ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini. Un quadro allarmante, che appare ancora più preoccupante perché non sembra che nessuno voglia dedicare a questo rischio la giusta attenzione per adottare rimedi o misure efficaci. Salvo poi lagnarsi della situazione o dei danni dopo che si sono verificati eventi come inondazioni, frane e crolli.

C.Alessandro Mauceri

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