Non resta molto tempo per i pensionati che non vogliono arrendersi all’abuso di potere perpetrato ai loro danni da parte del Governo!

Il prossimo 31 dicembre scadrà infatti il termine per chiedere il rimborso completo di quanto spetta a titolo di rivalutazione monetaria del trattamento pensionistico percepito, almeno per tutti coloro che sono andati in pensione prima del 31 dicembre 2011, secondo quanto riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 70 del 30 aprile 2015.

pensionati scippati

Per questo il Codacons – in attesa che il TAR si pronunci sul ricorso collettivo già avviato circa 1 anno fa, la cui prossima, ultima udienza, è fissata al prossimo 13 dicembre 2016 – mette a disposizione di tutti gli interessati il testo della diffida e del ricorso al Giudice del Lavoro (per gli ex dipendenti del privato) e alla Corte dei Conti (per gli ex dipendenti del pubblico) per chiedere ed ottenere il rimborso delle differenze sul trattamento pensionistico tutt’ora spettanti, in quanto negate dal Governo Renzi.

Nel ricorso si chiede infatti la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 65/2015, per avere disatteso del tutto i principi sanciti dalla Corte Costituzionale, in conformità, peraltro, con quanto già sancito da molti giudici in tutta Italia.

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Il riferimento è, nello specifico, all’ordinanza n. 36/2016 del Tribunale di Palermo che, dopo aver affermato quanto segue: “L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto , costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.)”, ha ritenuto violati i seguenti principi:

“a) il principio di cui all’art. 38, comma 2, Cost., perchè la modesta entità della rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l’adeguatezza, soprattutto con riferimento ai pensionati titolari di trattamenti previdenziali non elevati;

b) Il principio di cui all’art. 36, comma 1, Cost., poichè la modesta entità della rivalutazione viola il principio di proporzionalità tr a pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa;

c) Il principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38, 3 Cost., perchè la modesta entità della rivalutazione, violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria pensionati, cui appartiene il ricorrente”.

Ed ancora, si cita l’ordinanza del Tribunale di Milano n. 124 del 2016, ove si è concluso come segue: “Ebbene, il legislatore del 2015, nel proprio intervento retroattivo a seguito della sentenza di incostituzionalità, non ha minimamente preso in considerazione la gravosità del proprio intervento avendo anche riguardo a quanto già disposto con la legge di stabilità per l’anno 2014, e ciò è tanto più grave nel contesto economico finanziario più volte richiamato. Risulterebbe quindi ancor più palese, in tale quadro, la violazione degli articoli 3, 36 e 38 Costituzione, non solo per la durata complessiva dell’intervento ma anche per la totale assenza di alcuna ponderazione da parte del legislatore del sacrificio richiesto ai pensionati con il trattamento più elevato rispetto alle proprie esigenze di bilancio come già sopra evidenziato.”.

Come anche le pronunce di remissione del Tribunale di Brescia, n. 188/2016 e n. 237/2016 del Tribunale di Napoli, e l’ordinanza della Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale della Emilia Romagna, n. 101/16, che ha giustamente rilevato come, in definitiva, ricorrano i presupposti per dubitare del fatto che il quadro normativo preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalità fosse tale da far sorgere nei pensionati la ragionevole fiducia nel non azzeramento di detto meccanismo, anche in relazione tanto alla ratio decidendi sottesa alle sentenze n. 70 del 2015 e n. 127 del 2015, quanto al principio affermato nella sentenza n. 216 del 2015, secondo cui le scelte onerose per gli interessi dei privati esigono una equilibrata valutazione comparativa degli interessi in gioco, nei limiti, cioè, della ragionevolezza e della proporzionalità, laddove, nella specie, l’emergenza finanziaria (nella pronuncia n. 216, la disciplina denunciata aveva l’obiettivo di ridurre il debito) è stata ritenuta recessiva innanzi alla tutela dei diritti riconosciuti ai possessori di banconote in lire di prestazione pensionistica.
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